«Rovine e macerie»

Obliare, rimemorare, edificare

Convegno di Studi
Pompei 17-18 novembre 2005


Abstract


dott. Giuseppe Martini

Rovine e macerie: dal trauma all’irrappresentabile.



La psicoanalisi si è a lungo pensata all’interno del paradigma della ricostruzione, che immediatamente suggerisce il raffronto con il lavoro dell’archeologo (Freud, 1937) e, di conseguenza, con la rielaborazione di quelle che possono essere definite “rovine psichiche”. Questo implica la valorizzazione del lavoro della memoria e del lavoro del lutto, non a caso oggetto dell’ultimo sguardo rivolto alla psicoanalisi da Paul Ricoeur in La memoria, la storia, l’oblio.
Esiste tuttavia una memoria – come attestano non solo la psicoanalisi ma anche le neuroscienze - che si rivolge al prima della rappresentazione o a quanto il trauma ha reso irrappresentabile: è la memoria così detta evocativa (in contrapposizione a quella semantica). In questo magmatico territorio dello psichico – che evoca anche una nuova concezione dell’inconscio - ci si imbatte non tanto con le rovine, quanto con le macerie dello psichico: cioè con aree mentali che, a seguito di esperienze traumatiche radicali, infantili o adulte, o in conseguenza di gravi disturbi di tipo psicotico (in primis le schizofrenie), appaiono del tutto informi e sembrano esprimere una condizione di vuoto piuttosto che di assenza. Esse risultano perciò inidonee ad un’opera di ricostruzione e invocano piuttosto un difficile e ambizioso intervento di costruzione.
Ma l’Io può costruirsi a partire dalle proprie macerie così come, attraverso la tecnica psicoanalitica classica, esso poteva ricostruirsi a partire dalle proprie rovine? E’ ammissibile e realizzabile la transizione dall’irrappresentabile alla rappresentazione?